La produzione di frutta e verdura rappresenta uno dei più importanti settori del Made in Italy. Eppure la tendenza a commercializzare solo prodotti esteticamente perfetti sta mettendo in ginocchio il settore agricolo, che non riesce più a rispettare gli standard a causa dei cambiamenti climatici che ne modificano sempre più spesso forma e dimensioni.
Con il rapporto “Siamo alla frutta” di Fabio Ciconte, Direttore dell’associazione Terra!, e dal giornalista Stefano Liberti, si svela l‘insostenibilità dei meccanismi normativi e delle pratiche della grande distribuzione, che porta sul mercato prodotti sempre più standardizzati, poveri di nutrienti, e che producono elevati scarti.
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Il dossier indaga l’impatto di regole di commercializzazione e sistemi di mercato sull’agricoltura, costretta a produrre frutta sempre esteticamente perfetta per riuscire a venderla ai supermercati. Un’impresa sempre più difficile a causa della crisi climatica, che rende la produzione irregolare e i prodotti meno omogenei per forma e dimensione. “Siamo alla frutta” accende un faro su questo fenomeno distorsivo, che provoca un calo del reddito degli agricoltori.
La grande distribuzione organizzata, l’Unione Europea e la miopia delle istituzioni nazionali influenzano le nostre abitudini alimentari attraverso scelte di mercato e rigide norme. E mentre lo fanno, firmano la condanna a morte dell’intero comparto agricolo, già alle prese con il cambiamento climatico, causando la perdita di migliaia di ettari di terre coltivate. Si va dalla produzione di pere in Emilia-Romagna, che negli ultimi 15 anni ha visto calare le superfici di 6.000 ettari, alle arance di Sicilia, coltivate oggi su appena 82.000 ettari rispetto ai 107.000 di vent’anni fa. E poi il kiwi, la cui produzione a livello nazionale ha registrato dal 2014 al 2019 un calo di quasi 100.000 tonnellate, a causa di una malattia che sembra propagagarsi, secondo alcuni studi, proprio per l’aumento delle temperature.
la frutta deve essere sana gustosa e nutriente come quella che mangiavo nella fattoria dei miei nonni nell’immediato dopo guerra e non la bellezza acquisita con elevate quantità di pesticidi. a tal fine andrebbe certificato il non uso di pesticidi che avvelenano i cibi ancora prodotti da una agricoltura industriale che sta rovinando il business delle aziende agricole a conduzione familiare. INVECE DI UNA AGRICOLTURA INTENSIVA ANDREBBERO INCENTIVATE RETI DI AZIENDE AGRICOLE FAMILIARI COLLABORATIVE TRA LORO ED OPERANTI A LIVELLO COMUNALE E PROVINCIALE.
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