Proposte per tre linee di azione

Sintesi dei risultati emersi nel Seminario promosso dal CREA: Accesso alla terra Pratiche sul territorio e politiche pubbliche 7-8 luglio 2016 – Finale di Pollina (PA).

Introduzione

In vaste aree del paese si pone oggi una grande questione di accesso alla terra da parte di soggetti nuovi, che chiedono di valorizzare un bene sottoutilizzato o del tutto in abbandono. Una strategia moderna di innovazione – come la smart specialization strategy europea – affida alla policy il compito di rimuovere con tempestività gli ostacoli che si frappongono a processi innovativi e a comportamenti virtuosi in atto, non di disegnare a tavolino obiettivi e strumenti per indurre comportamenti che non ci sono. Nell’agricoltura e zootecnia di vaste aree interne dell’intero paese, da Nord a Sud, vi sono segnali chiari di innovazione, di un “ritorno alla terra” di giovani orientati verso produzioni di qualità e di un recupero produttivo della terra unito alla ricerca di uno stile di vita e di lavoro diversi. Questo è uno dei principali messaggi di tre anni di lavoro di campo della Strategia per le Aree Interne. In queste stesse aree appare evidente che agricoltura e zootecnia sono, assieme alle attività forestali, componenti irrinunciabili dello sviluppo futuro, siano esse congiunte col turismo o con l’offerta di servizi sociali. Dunque è imperativo, per liberare il potenziale di sviluppo agricolo in queste aree e per lo stesso successo della Strategia aree interne, rimuovere, nello spirito dell’art. 3 della Costituzione, tutti quegli ostacoli che si frappongono ad un efficace utilizzo della risorsa terra e a quei processi innovativi. Bisogna agire con tempestività su tre linee di azione:

  • a) a normativa data, con azioni per diffondere le migliori pratiche, dare supporto alla loro attuazione, migliorare l’informazione sui loro esiti;
  • b) adattando i programmi comunitari 2014-20 per rispondere meglio alla domanda di innovazione;
  • c) valutando un intervento normativo ad hoc per facilitare i processi di accesso alla terra.

Italia - SAU - perdita suolo agricolo 2000 2010.jpg

 

I termini nuovi dell’accesso alla terra oggi

Siamo in una fase in cui, per diversi fattori legati, da un lato, alla crisi dei processi di industrializzazione tradizionali e, dall’altro, alla riscoperta del valore della produzione agroalimentare, vi è una attenzione maggiore alla terra per la produzione di alimenti connotati di valori specifici.

Sono passati più di 60 anni dai primi provvedimenti di Riforma Agraria in Italia (1950), destinati a redistribuire la terra a favore dei piccoli contadini e dei braccianti, in un periodo storico caratterizzato da una forte pressione sulla terra e da una distribuzione iniqua della proprietà fondiaria. E non solo nelle aree del Mezzogiorno. Venti anni dopo, a cavallo tra fine degli anni ’60 e inizi ’70, quella tensione sulla terra si era già risolta con l’emigrazione dalle zone rurali di contadini e braccianti verso il Nord industrializzato e i paesi esteri. Il problema si era spostato sulla creazione di aziende di media dimensione, capaci di competere nella nuova Comunità Economica Europea, come dichiarava l’allora Commissario agricolo Sicco Mansholt nel presentare le sue proposte di riforma strutturale dell’agricoltura europea. Negli anni ’70 e ’80 la questione centrale era divenuta la modernizzazione dell’agricoltura, con il paradigma dell’intensificazione produttiva nelle aree e nelle strutture aziendali più adatte e con il conseguente abbandono di vaste aree rurali del paese, comprese quelle dove era intervenuta la Riforma Agraria, che perdevano di interesse sia per i proprietari, ormai rivolti ad altre fonti di reddito e occupazione, sia – fatto questo meno giustificabile – per le politiche pubbliche.

Le terre più marginali, o comunque meno capaci di rispondere al modello della modernizzazione, hanno cominciato ad acquisire un qualche interesse a partire dagli anni ’90, per diversi motivi. Innanzitutto, perché il loro abbandono è stata una delle cause principali del dissesto idrogeologico in vaste aree montane e collinari. In secondo luogo, perché proprio negli anni ’90 si va affermando, sia nelle pratiche aziendali sia nelle politiche, una reazione agli effetti insostenibili della modernizzazione agricola sulla fertilità dei suoli, la qualità delle acque, le emissioni di gas ad effetto serra e la salute dei consumatori. La dimensione ambientale entra in modo rilevante nelle strategie di riforma della PAC che si sono susseguite da inizio anni ’90 (Riforma Mac Sharry) sino ad oggi. Questa crescente dimensione ambientale si accompagna ad una componente “sociale e culturale” di tipo nuovo. Si ripropone l’interesse per la terra, anche quella dei territori più interni, ma con motivazioni del tutto diverse da quelle degli anni caratterizzati da una forte pressione demografica: il “ritorno” all’agricoltura è frutto non solo di motivazioni economiche (soprattutto in periodi di crisi/stagnazione come quelle degli ultimi dieci anni), ma anche di nuove funzioni sociali e della produzione di beni pubblici che spesso si uniscono alla funzione per il mercato. Emerge il ruolo della terra come produttrice di valori culturali che attiva fasce di popolazione ispirate da modi di produzione e consumo radicalmente alternativi a quelli che avevano stimolato la modernizzazione agricola del paese negli anni passati.

italia-variazione-sau-1982-2010-aree-interne

 

Nuove figure sociali si affacciano oggi a esplicitare una domanda di terra, molto diversa da quella dell’immediato dopoguerra:

  • giovani imprenditori/figli o nipoti di imprenditori agricoli con strategie produttive che puntano sulla sostenibilità e sulla multifunzionalità della agricoltura;
  • giovani e adulti di provenienza non rurale, spinti, oltre che dalla ricerca di un’occupazione, anche da un progetto ad elevato “investimento etico”, sulla scorta di quanto sta già avvenendo da tempo nelle aree peri-urbane;
  • agricoltori radicati sul territorio, che attivano progetti innovativi per valorizzare al meglio le risorse esistenti cercando di espandere le attività;
  • lavoratori con elevate expertise provenienti da flussi di immigrazione;
  • nuove imprese familiari che si insediano nella terra come progetto di vita;
  • Fondazioni, associazioni, etc. che promuovono attività innovative di agricoltura sociale; organizzazioni locali di categoria che colgono la nuova sfida di collegare produzione per il mercato e produzione di beni pubblici, ecc.

La natura di questa nuova domanda di terra merita di essere colta per le implicazioni innovative che presenta, rimuovendo, come già sottolineato in precedenza, gli ostacoli che la frenano. Ciò sia definendo policy più attente alle nuove componenti di questa domanda, sia tarando in modo più efficace le policy che attualmente investono le aree interne. Questa esigenza, in particolare, è stata stimolata dalla attuale esperienza della Strategia Nazionale per le Aree Interne e dalle connessioni cha la SNAI ha con le altre politiche, in primo luogo la PAC (primo e secondo pilastro) e le politiche nazionali che in questo periodo si vanno attuando nel paese. Questo tema è stato oggetto di discussione in un seminario organizzato in una delle aree pilota della SNAI , le Madonie in Sicilia, con gli attori1 che stanno realizzando pratiche concrete di accesso alla terra in luoghi diversi del territorio nazionale. Questa riflessione nasce soprattutto da numerosi spunti lanciati nella discussione che, in sostanza:

  • conferma la specificità dell’agro-alimentare e le difficoltà di accesso alla terra nelle aree interne e ne sollecitano la risposta in termini di policy;
  • pone la questione dell’adeguatezza delle politiche per smuovere la mobilità della terra e promuovere forme di gestione appropriate. Inoltre pone il quesito se sia necessario proporre modifiche/integrazioni del quadro regolativo esistente e in quali direzioni;
  • infine ci sollecita la formulazione di tre linee di azione, che discuteremo nel paragrafo finale di questa nota.

Le specificità dei processi legati alla terra nelle aree interne

L’esperienza della SNAI fornisce tre chiari segnali:

  • agricoltura e zootecnia (e filiera alimentare a valle) costituiscono, assieme alle attività forestali, componente irrinunciabile della tenuta demografica e dello sviluppo futuro delle aree interne (siano esse connesse col turismo o con l’offerta si servizi sociali), e il loro potenziale è connesso alla diversità delle produzioni, di cui cresce la domanda;
  • a un fenomeno generale di forte riduzione delle aree coltivate o a pascolo e di bassa presenza giovanile nelle aziende, si contrappongono segnali di ritorno alla terra di nuova agricoltura;
  • questa spinta innovativa, che avrebbe la possibilità di avvalersi di terre pubbliche e private scarsamente utilizzate o addirittura abbandonate, trova ostacolo nella difficoltà di accedere a queste terre.

ca-di-sciur-2015-lagopalu-valtellina

Nelle aree interne le dinamiche fondiarie presentano alcune specificità: molta terra è stata oggetto di abbandono. Ma, contrariamente a quanto avviene nelle aree “centrali”, la mobilità interna della terra, verso le aziende più dinamiche, è problematica a causa della frammentazione, dei processi di degrado idrogeologico e degli alti costi di transazione necessari per attivare dei piani di ricomposizione fondiaria. Nelle aree più “centrali” (poli e aree di cintura) questi processi di abbandono dell’agricoltura sono meno intensi perché, tutt’al più, la terra cambia destinazione d’uso. La domanda di terra è più elevata per usi non agricoli e comunque l’eventuale utilizzazione di una parte di terra liberata può anche trovare impiego immediato nell’allargamento della maglia esistente. O, talvolta, nell’utilizzazione da parte dei “nuovi arrivati” e di nuove figure sociali che la inseriscono in circuiti di filiera corta, usi ricreativi per la popolazione urbana o forme di uso sociale dell’agricoltura.

Esiste, dunque, una specificità delle aree interne nella dinamica fondiaria, nel senso che la frammentazione e la scarsa “mobilità” della terra costituiscono, per ragioni ormai storiche, ostacoli molto più rilevanti che nelle aree “centrali”. Tra il 1982 e il 2010, circa un trentennio, la SAU delle aree interne si è ridotta di poco più di 1/5 in Italia, con punte che vanno a oltre 1/3 nelle regioni del Nord-Ovest. Il fenomeno si accentua nelle aree periferiche e ultra-periferiche del Centro e del Nord, mentre è meno sensibile nel Sud e nelle Isole. Le perdite maggiori si hanno nelle aree periferiche e ultra-periferiche del Nord-Ovest (addirittura -44%).

variazione-sau-20101982

Purtroppo non esistono informazioni precise e attendibili sulla destinazione di questa terra che esce dalla SAU, ma è molto probabile che nelle aree interne si traduca in superficie abbandonata e incolta oppure in superficie a bosco o, in misura più limitata, in altri usi. In ogni caso la destinazione a scopi produttivi perde di rilevanza, tanto che l’incidenza della SAU sulla superficie totale raggiunge ormai (2010) il 37,5 % nei comuni periferici e ultra-periferici e tocca punte minime del 18% nel Nord-Ovest. In realtà la perdita di SAU è molto differenziata tra le aree interne di una stessa regione. Nella tabella che segue si possono distinguere per ciascuna regione le aree interne che perdono più SAU e quelle che ne perdono meno. Nel periodo 1982-2010 vi sono regioni come Piemonte, Emilia Romagna, Friuli V.G. dove le aree interne perdono ¾ delle dotazioni iniziali. Si vedano i casi delle Valli di Lanzo, dell’Antola-Tigullio, della Val Canale-Val di Fela. Ma vi sono regioni in cui anche le punte più basse di variazione relativa sono casi di forte perdita: come in Val d’Aosta e Liguria, dove tra le aree interne che perdono di meno, ve ne sono alcune che perdono oltre il 50% della SAU. Anche nel Mezzogiorno vi sono aree con punte particolarmente intense di perdita di SAU (Terre Sicane in Sicilia, Mainarde in Molise, Reventino-Savuto in Calabria, Basso Sangro-Trigno in Abruzzo).

riduzione-della-sau-per-regioneAzioni pubbliche e private….in ordine sparso

Di fronte a questo quadro e alle opportunità che esso presenta si manifestano:

  • a) molteplici azioni pubbliche con esiti alquanto diversificati, che forse richiederebbero un confronto nazionale
  • b) molteplici iniziative private.

Il confronto avviato nel seminario delle Madonie mette in luce la grande varietà di pratiche dal basso e di politiche che in questi ultimi anni stanno ponendo al centro il tema della terra, non solo per scopi di produzione agro-alimentare. Solo per richiamare le più rilevanti, vanno ricordate:

  • diverse misure incluse nei PSR, quali gli incentivi per il primo insediamento dei giovani agricoltori, il ricambio generazionale in agricoltura e il sostegno di attività multifunzionali nell’azienda agricola;
  • un pacchetto di misure nazionali, introdotte nel 2014, denominate “Generazione Campolibero”, composte da agevolazioni per l’imprenditoria giovanile, fondi per la nascita di start-up agro-alimentari e credito di imposta per il commercio elettronico di prodotti agroalimentari;
  • un provvedimento nazionale, il cosiddetto “Terrevive”, con cui si rendono disponibili sul mercato 5.500 ettari di terreni agricoli pubblici con diritto di prelazione per i giovani sotto i 40 anni;
  • diverse esperienze di “banca della terra” attivate a livello regionale, con lo scopo di mettere a disposizione terre pubbliche e private per operazioni di affitto o concessione a imprenditori privati, in particolare giovani. Tra queste esperienze forse quella più avanzata è il caso dell’Ente Terre Toscane, una agenzia regionale creata ad hoc che ha già affidato a privati un certo numero di ettari;
  • alcune esperienze di concessione di terre pubbliche comunali a cooperative di giovani in varie parti d’Italia;
  • infine, ma non ultime in ordine di importanza, le esperienze di concessione delle terre confiscate alla mafia, che, sia pure tra lentezze e difficoltà burocratiche, si stanno realizzando in alcune regioni.

Sul fronte privato, invece, si collocano diverse iniziative da parte di associazioni, cooperative e gruppi di giovani per il recupero di terre non utilizzate (o a rischio di abbandono) sia a scopo di produzione alimentare, sia a scopo terapeutico e/o culturale-ricreativo.

orti-condivisi

Da questo rapido quadro si intuisce l’intreccio oggi tra politiche nazionali, regionali e comunali sul territorio. Ma in realtà l’intreccio è più complesso, tra politiche pubbliche e iniziative private, se si considera nel quadro che abbiamo provato a ricomporre anche il ruolo delle Fondazioni (bancarie e non), delle partnership pubblico-private e del mondo delle organizzazioni di settore, che stanno prendendo coscienza di un campo di azione piuttosto rilevante e della visibilità politica che ne deriva.

Tuttavia, vi è una certa frammentazione degli interventi e vi è un gap tra i processi innovativi emergenti, da un lato, e offerta di politiche, dall’altro, che si può sintetizzare in due nodi critici:

a) i criteri di accesso;

b) gli strumenti per superare la frammentazione fondiaria e i costi del cooperare.

a) Criteri per accedere alle diverse forme di sostegno (mutui, contributi a fondo perduto, credito di imposta, ecc.) rappresentano forse il nodo di maggiore criticità, sia nei programmi cofinanziati dall’UE (PSR), sia in quelli nazionali (es. “Terrevive” e “Generazione Campolibero”). L’impianto è in gran parte funzionale all’accesso di figure professionali, già dotate di terra, capacità di investimento, solvibilità, competenze professionali, ecc. Nei bandi di “Generazione Campolibero”, ad esempio, i mutui a tasso agevolato (max 30 anni) per l’acquisto di terra da parte di giovani sono concessi previa analisi degli indici di redditività finanziaria e a condizione che non vi sia frammentazione fondiaria. Ciò significa che le nuove figure prima menzionate hanno uno spazio molto ridotto: giovani con nuove motivazioni verso il lavoro in agricoltura, piccoli imprenditori desiderosi di espandere la superficie esistente, nuovi “rurali” spinti dall’obiettivo di esercitare agricoltura sostenibile, ecc. Soggetti che guardano alla terra con motivazioni forti e non solo economiche, idee innovative, ma con scarse risorse finanziarie e garanzie reali, trovano spesso nelle politiche esistenti e nel credito ordinario un muro inaccessibile.

Più che nell’acquisto, maggiori opportunità vi sono invece nelle forme di affitto o concessione della terra. Non è un caso che l’affitto sia uno dei titoli di possesso più in espansione nell’agricoltura italiana degli ultimi 10-15 anni. Con la Banca della Terra toscana, ad esempio, hanno potuto trovare accesso anche cooperative di giovani agricoltori e piccole imprese agricole desiderose di ampliare la base produttiva.

16463284_1725141061061074_4632020216903384608_o

b) Il secondo nodo critico è quello della frammentazione fondiaria, che rende non agevole il recupero produttivo di terreni in condizioni di abbandono e fortemente dispersi sul territorio. È uno dei nodi irrisolti della politica agraria italiana, che né le recenti modifiche del codice civile (con il cosiddetto “patto di famiglia”), né l’introduzione di misure per la ricomposizione fondiaria nei PSR, sono riusciti a scalfire in modo sostanziale. Nel corso degli anni più recenti si sono create in Piemonte, Lombardia, Friuli una decina di esperienze di Associazione Fondiaria (Asfo), sulla scorta di quanto già da tempo (1972) si va facendo in Francia con le Associations Foncière pastorale e i Groupements pastoraux.

In sostanza si stratta di associazioni senza fini di lucro fra proprietari fondiari delle zone interessate, eventualmente patrocinate da un Comune. Questa soluzione favorisce l’accorpamento dei terreni senza intaccarne i diritti di proprietà, in quanto coinvolge non solo i terreni dei proprietari consenzienti, ma anche quei terreni abbandonati da proprietari emigrati altrove, la cui cura dovrebbe essere garantita dall’Associazione con la supervisione del Comune. L’Associazione Fondiaria rappresenta uno strumento più agevole del classico piano di ricomposizione fondiaria, ma in realtà per essere efficace presuppone una azione collettiva accurata, con un piano di gestione dell’area che contempli una ricognizione delle risorse fondiarie, le produzioni ottenibili, gli investimenti necessari e i mercati di sbocco della produzione. Le associazioni fondiarie si occupano di gestire le proprietà conferite dai soci o assegnate; redigere e attuare il piano di gestione, in cui sono individuate le migliori soluzioni tecniche ed economiche e di conservazione dell’ambiente e del paesaggio; partecipare all’individuazione dei terreni “silenti”, di cui non si conosce il proprietario e al loro recupero in coltura; provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei fondi e delle opere di miglioramento fondiario.

Approfondisci

Associazione Fondiaria, strumento per la gestione del frazionamento fondiario nelle aree interne sul Blog della Scuola Ambulante di Agricoltura

Associazione Fondiaria di Caldirola (AL)

Associazione Fondiaria Fraciscio (SO)

L’Associazione fondiaria per rivitalizzare l’agricoltura in montagna – di Andrea Cavallero, Università di Torino

Alcune linee di azione per le decisioni pubbliche

Le pratiche che risultano nelle diverse realtà regionali ed europee, la ricognizione delle esigenze nelle diverse aree progetto della SNAI, le riflessioni svolte sinora fanno emergere una domanda di accesso alla terra da parte di soggetti nuovi e scarsamente considerati nelle politiche rurali del mainstream. Per cercare risposte adeguate a questa domanda, per liberare il potenziale di sviluppo agricolo in queste aree e per lo stesso successo della Strategia aree interne bisogna agire con tempestività su tre linee di azione:

  • a brevissimo termine, cioè a normativa data, con azioni per diffondere le migliori pratiche, dare supporto alla loro attuazione, migliorare l’informazione sui loro esiti;
  • a breve termine, adattando i programmi comunitari 2014-20 per rispondere meglio alla domanda di innovazione;
  • a medio termine, valutando un intervento normativo ad hoc per facilitare i processi di accesso alla terra.
A) Azioni a brevissimo termine, a quadro normativo dato

1) supporto a iniziative concrete per l’accesso alla terra sotto varie forme:

  • in alcune aree interne dove insistono progetti di utilizzazione di terre pubbliche, cercando le collaborazioni con Agenzie del Demanio e Banche della Terra regionali;
  • una riflessione andrebbe avviata con le Fondazioni bancarie, Fondazione per il Sud, Banca Etica e anche qualche banca nazionale per sostenere iniziative pilota significative che emergono dal lavoro di scouting nelle aree interne candidate;

2) processi di ricomposizione fondiaria, tramite una maggiore conoscenza e una divulgazione/consulenza tecnica su strumenti quali le Associazioni Fondiarie e relativi piani di gestione. Va fatta una sperimentazione in alcune aree pilota dove esistono condizioni favorevoli in termini di partecipazione dei proprietari e supporto tecnico-amministrativo dei Comuni interessati;

3) rendere sistematica e completa la conoscenza e la ricognizione sistematica di esperienze di accesso alla terra che comprendano sia le terre private sia quelle pubbliche; si tratterebbe di rilevare la natura dei soggetti coinvolti e dei loro bisogni di sostegno e di accompagnamento nelle diverse fasi della costruzione progettuali.

B) Azioni a breve termine, adattando i programmi comunitari 2014-20

Promuovere l’introduzione di una misura che favorisca lo start-up di imprese agricole con forme di sostegno finanziario meno selettivo di quelle previste per l’insediamento dei giovani imprenditori.

  • I Comuni singoli o associati in Unioni hanno un ruolo fondamentale. Spetta infatti agli Enti locali promuovono iniziative volte alla diffusione fra i proprietari dei terreni di una cultura associativa, offrendo supporto informativo e tecnico alle associazioni e assegnare le terre incolte e abbandonate sulla base di un piano. Sono proprio i Sindaci ad assegnare alle Associazioni fondiarie i terreni abbandonati o incolti, e quelli “silenti”, di cui non si conosce l’effettiva proprietà, essendo come spesso accade gli ultimi eredi noti, sparsi per il mondo.
  • Questo può essere fatto innanzitutto nei PSR e richiederebbe un’iniziativa nazionale da concordare con le Regioni e da negoziare con la Commissione Europea perché si tratterebbe di modificare i PSR introducendo una misura ad hoc. L’esistenza di una base giuridica nel Regolamento sullo sviluppo rurale n. 1305/13 (art. 19.1a) agevolerebbe il negoziato e consentirebbe di introdurre questa misura a favore di giovani e meno giovani per start-up di piccole imprese agricole, misura che sinora nessuna Regione ha inserito nel proprio menu di interventi;
  • Anche i Gruppi di Azione Locale (GAL) andrebbero sollecitati ad attivare le start-up di piccole imprese agricole come misura prioritaria nelle aree interne in cui sono chiamati a gestire la partecipazione del FEASR, indipendentemente dal fatto che il PSR preveda questa misura o meno. I GAL possono infatti attivare misure diverse da quelle elencate nel menu del PSR, salvo poi notificarle tramite la Regione, e questo offre loro un margine di manovra in più rispetto agli altri soggetti del territorio;
  • Andrebbe ipotizzata la definizione di un pacchetto di sostegno alle start-up che comprenda anche formazione e assistenza tecnica, accompagnamento all’ingresso in agricoltura (es. coaching, mentoring), forme di micro-credito per le micro-filiere e le filiere corte, inserimento in reti di cooperazione tra piccoli operatori e soggetti diversi per organizzare processi di lavoro in comune, condividere impianti e risorse, diversificare le attività agricole, ecc.;
C) Azioni a medio termine, valutando un intervento normativo

Alcune delle linee di lavoro sopra illustrate richiedono un intervento sui PSR o sulle Strategie locali dei GAL, altre potrebbero essere contemplate in fase di attuazione del collegato agricolo 2016, che attribuisce al governo la delega per un decreto legislativo in tema di ricambio generazionale in agricoltura, con un ampliamento della platea dei potenziali beneficiari e/o immaginando criteri selettivi che non escludano a priori l’ingresso di soggetti innovativi, ma privi di mezzi finanziari adeguati.. Il collegato individua diverse tipologie di intervento: dalla creazione di una banca della terra a livello nazionale, presso ISMEA, a forme di affiancamento tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani, non proprietari di terreni agricoli, di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, per favorire il passaggio della gestione dell’attività d’impresa agricola. Queste misure, pur importanti in un quadro nazionale piuttosto carente, non sembrano sufficienti a coprire l’esigenza di ingresso in agricoltura proprio di quei soggetti “nuovi” che si stanno avvicinando con crescente interesse in questi ultimi anni all’impiego produttivo di terreni privati e pubblici sotto-utilizzati o abbandonati. Sotto questo profilo occorrerebbe introdurre nel quadro regolativo nazionale specifiche opportunità per questi soggetti, che altrimenti continuerebbero a rimanere esclusi. Le forme agevolative andrebbero costruite con pacchetti organici di interventi (formazione, assistenza tecnica, forme giuridiche, incentivi finanziarie per il primo accesso e le spese di gestione, ecc.), per cercare di coprire le diverse esigenze di supporto che si presentano a chi non dispone di adeguate risorse finanziarie e conoscitive.

Un secondo fronte di iniziativa concreta si potrebbe aprire sulle associazioni fondiarie (Asfo). Questo fronte è tutt’altro che inesplorato: bisogna sottolineare che diverse associazioni sono già nate al Nord e che la Regione Piemonte ha recentemente approvato una legge regionale che contribuisce finanziariamente al sostegno delle Asfo. Vengono erogati contributi fino all’ 80% per la copertura delle spese sostenute per la costituzione dell’associazione. Inoltre, ai proprietari di terreni privati che aderiscano ad una Asfo viene concesso un contributo una tantum nella misura massima di 500 euro per ogni ettaro conferito di superficie utilizzabile, a condizione che il conferimento abbia una durata non inferiore ai 15 anni. Ora, considerati gli effetti che una azione di questo tipo potrebbe avere, su una scala nazionale, per le aree interne in termini di recupero produttivo di vaste aree abbandonate, creazione di nuove imprese e/o ampliamento di quelle esistenti, salvaguardia della biodiversità, prevenzione dei rischi idrogeologici, ecc., si pongono le condizioni per una iniziativa nazionale volta a: 1) introdurre un quadro legislativo generale, partendo dall’esperienza piemontese e facendo tesoro dell’esperienza francese, più consolidata; 2) individuare delle risorse ad hoc da destinare ad interventi a favore delle Asfo, da coordinare con gli interventi della strategia nazionale per le aree interne.


Fine 🙂