Sono tempi di grandi cambiamenti anche nelle aree alpine. Questa osservazione vale per quelle zone del fondovalle che sono state attraversate dai processi impetuosi di modernizzazione rappresentati dalla risalita a salmone dell’industria e delle piccole e micro imprese, da collegamenti stradali veloci con i centri urbani e metropolitani, dall’espansione edilizia, dallo sviluppo di nuove professioni e dalla diffusione di modelli di vita e di consumo tipicamente urbani; ma vale anche per tutti quei territori che sono rimasti ai margini dei processi di sviluppo e che hanno subito più che governato questi cambiamenti. A cambiare insieme al territorio, al paesaggio, alle funzioni sono le comunità e le loro economie.

Lago di Novate Mezzola – Valchiavenna (SO)

Ed allora interrogarsi su quali possano essere le nuove strade non solo per la sopravvivenza delle aree alpine, ma per un loro rilancio dentro i processi di quella che definiamo “nuova economia” – l’economia green, l’economia della sostenibilità, l’economia im-immateriale, l’economia circolare, l’economia della condivisione – significa domandarsi quali siano le forme economiche ed imprenditoriali più adatte a valorizzare le risorse locali.

Che cosa vuol dire fare impresa in montagna nel tempo della green economy, e della società circolare?

Certamente vi è il tempo delle tecnicalità, del saper fare, e del saper essere. Bisogna però anche interrogarsi sui mutamenti strutturali, antropologici e culturali prima ancora che professionali.

E qui il passaggio dall’io al noi, dall’essere solo all’essere insieme, dalla professionalità individuale all’azione collettiva, dal competere al collaborare, segna una discontinuità rispetto ai modelli sociali e d’impresa che hanno dominato tutto il ‘900.

Ma a ben guardare, è proprio nello spazio alpino dove storicamente queste forme di impresa collettiva, di impresa sociale, di impresa di comunità avevano il loro principale palcoscenico. Il pensiero corre agli usi civici ed alle proprietà indivise (cioè comunitarie) e alla loro capacità di generare un’economia sostenibile in rapporto a risorse scarse ed al contempo rinnovabili. Ed è dall’intreccio tra la memoria profonda del territorio – memoria agricola, memoria agrosilvopastorale, memoria artigiana, memoria cooperativa – e i giovani nativi digitali, portatori di questa economia delle relazioni, che possono nascere nuove opportunità per il territorio e le comunità.

Coltivatori custodi: semina di patate antiche

Le montagne, come dimostrano il caso Buthan, delle valli del Canton Grigioni e della Valposchiavo, di Malles, sono vocate al biologico territoriale. Può partire dalle Terre Alte, dai loro contadini, giovani e anziani, autoctoni e neorurali, il rilancio di un’agricoltura sostenibile, attenta alle produzioni territoriali ed identitarie, capace di produrre benessere e qualità della vita. Una sfida che prima di ogni altra cosa è culturale.

Agroecologia, tutta un'altra Agricoltura

Agroecologia… tutta un’altra Agricoltura

Un sistema agroalimentare che si pone obiettivi di produrre cibo per il territorio con caratteristiche da salvaguardia dell’agro biodiversità può essere fondato sui principi Agroecoloci. Agroecologia significa tutela della biodiversità, della salute del suolo e delle acque, lo sviluppo di strategie sostenibili per il controllo dei parassiti, l’aumento della resilienza dello stesso sistema di produzione del cibo rispetto a un clima che cambia.Perché coltivare grani antichi?

Perché coltivare grani “antichi”?

Per grani “antichi” s’intende indicare le varietà selezionate prima che l’agricoltura subisse gli effetti della trasformazione industriale dei primi del novecento. Quindi varietà di grano adatte ai diversi ambienti pedoclimatici e a sistemi di coltivazione a basso impatto ambientale.
Chi coltiva biologico per produrre alimenti sani spesso preferisce lavorare con queste varietà che, pur producendo meno, presentano caratteristiche di grande valore: maggiore rusticità e capacità a resistere alle diverse avversità climatiche, qualità nutritive più equilibrate, aromi più complessi e intensi.
Al momento è ancora una strada in salita: tante di queste varietà non sono in commercio e l’attuale legislazione nazionale addirittura le considera “non vendibili”, l’agricoltore deve farsi carico della riproduzione. Il lavoro di miglioramento genetico fatto a partire da queste varietà e sotto un’ottica diversa è poco diffuso; le filiere locali che valorizzano queste produzioni sono nate recentemente ed ancora rare.
coltivazione delle piante officinali con metodo biologico

Nuova agricoltura e antichi saperi

La coltivazione delle piante officinali con metodo biologico e la raccolta nei tempi balsamici più propizi, consente di ricavare, attraverso varie trasformazioni, tisane salutari, estratti, distillazioni di oli essenziali, preparati erboristici, unguenti officinali e cosmesi naturale, e molto altro ancora.

Foraging

Se qualcuno pensa di approcciare il sistema agricolo montano con l’impostazione degli ultimi 30 anni, non c’e’ prospettiva. Bisogna capire che in questa parte d’Europa lo scenario e’ cambiato: l’agricoltura di montagna non è più solo produttore di materie prime che diventano commodities, ma, al contrario, offre servizi, distintività, fanno zootecnia ma, soprattutto, trasformano materia prima, organizzano eventi, ospitalità. Se la multifunzione viene intercettata in modo positivo, ci sono fondi e risorse per dar spazio alla propria imprenditorialità. Diversamente, di occasioni non ce ne sono. Gianni Fava – Assessore regionale all’Agricoltura.

Riferimenti (clicca)

Mestieri green. Agricoltura tra innovazione e tradizione di moviduepuntozero